Teatro e Aset: 20 anni

di Cesare Carnaroli

 

Venti anni dall’apertura del Teatro e dalla costituzione di ASET che insieme all’università (biotecnologie agroindustriali) ed al nuovo porto rappresentarono gli elementi che caratterizzarono l’amministrazione comunale che governò la città di Fano dal 1995 al 1999. Quattro anni di intenso lavoro, insieme a quello di precedenti amministrazioni, di cui ancora oggi beneficia la comunità stessa.

Preciso subito che, per quanto mi riguarda, il “ricordo” vuole affrontare quella vicenda da un punto di vista storico, ormai, sia per il tempo trascorso sia per la decisiva ragione che attualmente le condizioni economiche, sociali e culturali della città sono completamente cambiate rispetto ad allora e sarebbe profondamente sbagliato un paragone politico.

Chiarito questo aspetto e per evitare vuote celebrazioni riterrei opportuno cogliere l’attimo per avviare una seria riflessione di questi ultimi venti anni.

La crisi del 2008 (vedi ricerca Aaster) ha esaurito definitivamente quel tipo di sviluppo chiamato modello Marchigiano e le nostre città profondamente inserite in quel sistema dovrebbero partire da questa nuova condizione prendendo atto che un sistema di sviluppo basato sulla quantità e poco sostenibile non sarà più possibile.

L’unico confronto realistico con l’amministrazione che aprì il Teatro dopo 50 anni e costituì ASET, tanto per intenderci, riguarda il metodo e la necessità di oggi come allora di avviare una stagione di grandi riforme per ricreare, almeno in parte, quelle condizioni di sviluppo e benessere degli anni 90” (Fano aumentava di popolazione, vedeva l’arrivo di nuovi cantieri navali, ecc..).

Tutto questo per dire che la programmazione ed i progetti di sviluppo futuri dovranno creare le condizioni per poter facilitare tutte quelle iniziative volte ad un nuovo e sostenibile modello di sviluppo.

Quando in passato ebbi la possibilità di seguire la proposta di nuova legge urbanistica regionale la cosa che mi convinceva più di altre era la presa d’atto che la dimensione Comunale non fosse più idonea per programmare efficacemente il territorio ed il suo relativo sviluppo. Conseguenza di una condanna senza appello verso un localismo che portato alle estreme conseguenze ha creato danni incalcolabili alle comunità locali privandole di sinergie possibili che avrebbero prodotto invece nuove e grandi opportunità.

La forza e la genialità di ogni amministrazione dovrebbe essere quella di immaginare, nel momento di progettare lo sviluppo del suo Comune, un territorio più ampio a cominciare dai comuni confinanti, senza per questo sentirsi a disagio verso la propria municipalità. Anzi, se la collaborazione con altri comuni va nella direzione di accrescere qualità della vita e più benessere per tutti non si deve temere nessun rigurgito campanilistico da qualsiasi parte arrivi.

Le stesse Camere di Commercio ed alcune associazioni datoriali si aggregano per territori sempre più ampi.

Nel caso specifico le Amministrazioni di Pesaro e Fano, a mio modesto parere, potrebbero “riflettere” sulla costruzione di due piani strategici paralleli quando di fatto si tratta di pensare e programmare lo sviluppo di un territorio che ha le stesse dinamiche sociali ed economiche.

I confini amministrativi sono importanti ma questi non devono impedirci di vedere la realtà di un territorio che ha le stesse aspettative di fondo e che pertanto va programmato unitariamente.

Serve una rivoluzione culturale innanzitutto. Ribaltare il principio che ha guidato fino ad oggi la programmazione delle nostre città che partiva dai confini amministrativi e verificare con perizia le dimensioni e l’omogeneità di un territorio sufficiente a confrontarsi ed a concorrere in un mondo globalizzato dove, a parere degli esperti, solo le aggregazioni di territori sufficientemente ampie possono farcela. Il piccolo è bello è stata una condizione vincente mentre oggi è un limite da superare.

La città di Rossini, la città della musica, la città di Raffaello, la città di Vitruvio, la città del Carnevale devono diventare il territorio di Rossini, di Raffaello, di Vitruvio e via dicendo riprendendo il modello dei distretti produttivi i quali per la loro duttilità e dimensione territoriale che supera i confini amministrativi municipali hanno resistito alla globalizzazione meglio di altri modelli.

Solo così riusciremo a realizzare “il territo delle opportunità” per nuovi investitori ed in particolare per i più giovani in troppi ormai costretti a lasciare per lavoro la propria città natale.

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