GHITA: storia della Fornarina
“GHITA: storia della Fornarina“, il secondo spettacolo della XIX edizione del Fossombrone Teatro Festival, in programma mercoledì 27 luglio alle ore 21.30 presso l’Esedra di Piazza Mazzini a Fossombrone.
– Sarai la protagonista di “Ghita: la storia della Fornarina”, secondo spetacolo in cartellone alla diciannovesima edizione del Fossombrone Teatro Festval, in programma il prossimo 27 luglio. Sei di Fossombrone: che efeto t fa calcare il palco di casa?
“È una grande emozione essere a Fossombrone per un appuntamento così importante come il Festval. C’è profumo di casa, ma anche di una rassegna dal respiro nazionale. Cosa volere di più?”.
– Com’è Giulia Bellucci oggi? E come era la Giulia del passato, prima che la tua avventura professionale prendesse forma e tempo? Cosa hai portato dentro del tuo paese in quest anni di studio e lavoro?
“Credo di essere sostanzialmente sempre la stessa, una sognatrice con una grande passione e la voglia e la determinazione di non darmi mai per vinta. Sono profondamente legata e grata al mio territorio, che porto sempre con me con la sua genuinità e la sua accoglienza”.
– Leggendo la vita di Rafaello emerge, oltre al genio artstco che tut conosciamo, la fgura dell’uomo in preda agli istnt e alle passioni irrefrenabili, vitma e carnefce di se stesso. La fgura di Ghita è un amore totale e incondizionato, conscia dell’uomo-Rafaello che ha davant, ma non per questo indietreggia o tentenna. Anzi, dona se stessa all’amore. Chi è la donna-Ghita e cosa rimane dentro di te di questa fgura?
“Ghita sono io, Ghita sono tute le donne innamorate, Ghita è la potenza di un amore che nell’arte diventa eterno e nel cuore già lo è. Ghita è la profondità di un sentmento ancestrale denso di passioni contrastant, sublime e diabolico. Ghita è l’amore, e l’amore, antco o contemporaneo che sia, ha la stessa linfa. Ghita è un’anima passata e modernissima, e anche se raccontamo una storia di 500 anni fa, dentro c’è l’umano e la sua matrice senza tempo”
– Emerge forte la scissione tra l’umano e il divino in Rafaello. La fgura di Ghita rappresenta invece la sintesi, quell’unità del duale che spesso sfugge agli uomini, intrappolat nel semplicismo cartesiano degli oppost e dei doppi. Cosa ancora gli uomini secondo te non riescono a comprendere del mondo femminile?
“Credo che in ognuno di noi ci sia un’anima femminile e maschile insieme, per dirla con Virginia Wolf che in uno dei suoi scrit abbozza uno schema dell’anima, secondo il quale in ognuno di noi dominano due forze, una maschile e una femminile, e nel cervello dell’uomo l’uomo predomina sulla donna, e nel cervello della donna la donna predomina sull’uomo. Nell’uomo la parte femminile del cervello deve comunque agire: e anche la donna deve avere rapporto con l’uomo che c’è in lei. Per citarla testualmente: “Una grande mente è androgina. Ed è appunto quando ha luogo questa fusione che la mente diventa pienamente fertle e usa tute le sue facoltà. Forse una mente puramente maschile non può creare, e così una mente puramente femminile. Credo che la cosa importante sia semplicemente cercare di ascoltarsi e avere la voglia reale di relazionarsi all’altro”.
– Quanto è difcile sostenere un monologo e qual è la parte più impegnatva e fatcosa nella preparazione tecnica del porsi davant a un pubblico in questa modalità scenica?
“Un monologo è una magia. Inizialmente può sembrare fatcoso sostenere da soli il testo, ma poi, con l’aiuto sapiente del regista e di un buon drammaturgo, il copione si dipana, nascono personaggi e luoghi e atmosfere, e tut i tasselli si sistemano come in un grande mosaico. Un monologo ha in sé un po’ dell’antco rito delle storie raccontate davant al fuoco, e conserva, per me, un fascino antco e vagamente misterioso”.
– Com’è nato il sodalizio artstco con il regista Giacomo Ferraù?
“Giacomo Ferraù è un giovane e talentuoso regista che, quando il comune di Urbino e Amat mi hanno proposto il lavoro, ci è stato suggerito da Cesar Brie, con il quale collabora e c’è un grande rapporto di stma. Un consiglio straordinario: Giacomo è molto in ascolto, professionalmente preparatssimo e appassionato, mi ha direto con grande generosità e forza. Coadiuvato dagli straordinari Simone Faloppa e Giulia Viana, che hanno scrito un grande testo e assieme a lui lavorano alla compagnia Eco di Fondo, che ha prodoto il progeto. C’è stata subito una grande sintonia, loro sono anche bravissimi atori e hanno saputo creare i presuppost migliori per potermi guidare verso il risultato. È stato un percorso molto ricco professionalmente e anche umanamente”.
– Racconta del sodalizio amicale, artstco e professionale con Frida Neri e della vostra associazione culturale “AnimaFemina”…
“Frida è una grande artsta e una grande amica, insieme abbiamo fato e faremo tant lavori, ci capiamo al volo e ci piace perderci l’una nelle follie dell’altra. Anni fa insieme abbiamo fondato “AnimaFemina”, un porto sicuro e una base di lancio dalla quale far partre spetacoli e festval”.
– Quali sono i tuoi proget futuri, nella vita e nella professione?
“Ho mille idee per la testa, mille spetacoli, e mi impegnerò per farli nascere!”.
– Arriviamo da anni estremamente complessi e difcili, per l’arte sopratuto: quali sono le tue rifessioni su passato e futuro?
“Credo che dopo questo tempo di buio, l’arte possa e debba poter essere un faro, per comprendere meglio e per andare avant. Un’esigenza. E l’arte stessa non può esimersi da questo ruolo. A teatro respiriamo insieme, atori e pubblico, e ci riscopriamo vivi e umani. Mai come oggi e domani credo che questo sia necessario”.
– Cosa augura Giulia Bellucci a se stessa e al suo pubblico?
“Mi auguro e auguro di poterci lasciar travolgere dalla bellezza e dallo stupore, e di poter portare a casa sempre “una goccia di splendore”.