GIGI MARFORI: UN MITO DELLO SPORT FANESE

Un anno fa ha festeggiato le nozze d’oro con la pallavolo, venendo giustamente premiato al Galà del Volley Marchigiano 2019, ma quando e come nasce il Luigi Marfori sportivo per tre lustri anche presidente del Panathlon fanese?

<La passione per lo sport mi è nata ai tempi degli studi liceali. Il prof. Aldo Zengarini, uomo di grande spessore culturale ed umano, indimenticabile figura di educatore, mi avviò alla pratica sportiva inserendomi nel gruppo sportivo scolastico del Liceo Classico Guido Nolfi di Fano. Fu un’esperienza, per me, formativa ed esaltante, dapprima nei campionati studenteschi di atletica leggera, poi  nei campionati di pallavolo. Grazie alla sua guida illuminante l’interesse e la passione per la pallavolo coinvolse ed appassionò tanti altri miei coetanei, che si ritrovavano al di fuori dell’orario scolastico, anche nei giorni festivi, a disputare partite alla palestra Venturini che si protraevano sino a sera. Fu così che, agli inizi degli anni ’60, iniziarono a disputarsi tornei organizzati dal CSI ai quali aderirono varie realtà associative, con una attività agonistica sviluppatasi, in gran parte, nell’ambito degli oratori. Una pratica dapprima prevalentemente ludica che coinvolse, nei campetti parrocchiali, un numero crescente di giovani e che, nel prosieguo, portò ad una evoluzione e ad una crescita, anche dal punto di vista tecnico, con la formazione di squadre che cominciarono a partecipare ai campionati organizzati dall’allora Comitato Provinciale dalla FIPAV>.

Da dove scaturisce la decisione di fondare nel 1962 la sezione femminile della Juventina?

<Fu un’idea geniale che segnerà, di lì in avanti, la storia e la diffusione del movimento pallavolistico femminile nella nostra città. Con i compianti amici Roberto Piergentili e Claudio Schermi fondammo la sezione femminile della Juventina, sulle orme del settore maschile, molto attivo nel campo retrostante la Cattedrale, frequentato da tanti ragazzi che si sfidavano in interminabili sfide all’aperto>.

C’è un aneddoto curioso legato all’autorizzazione che Don Paolo Tonucci si impegnò a chiedere al Vescovo Del Signore per consentire alle ragazze di allenarsi nel campo confinante con l’Episcopio…

<L’episodio è stato un po’ enfatizzato. Don Paolo Tonucci era vice parroco della Cattedrale e, poco prima di partire missionario per il Brasile, appoggiando l’iniziativa, si impegnò a parlare col Vescovo per ottenere il suo consenso garantendo che le ragazze avrebbero indossato la tuta. Ma non ce ne fu bisogno, perché ci venne concesso di tenere gli allenamenti nella palestra di Borgo Metauro (ora intitolata ad Anna Zattoni) che resterà a lungo la casa della pallavolo fanese fino alla costruzione della palestra della Trave (ora Leonardi)>.

Dopodiché si iniziò coi campionati regionali, vero?

<Sì, dopo l’affiliazione alla FIPAV la squadra disputò, nella stagione sportiva 1965/66, il primo campionato di serie B regionale con quattro squadre: oltre alla Juventina, c’erano le ragazze di  Pesaro, guidate dall’indimenticabile Alberto Renda, di Ancona e di San Benedetto del Tronto. Vincemmo il torneo e partecipammo ad una finale unica a Bergamo con le vincenti degli altri gironi. Le prime due avrebbero poi avuto accesso alla serie A e noi ci classificammo settimi. L’anno  dopo altra vittoria del girone e finale nazionale a Firenze, con un lusinghiero quarto posto>.

Quindi la squadra passò a disputare il campionato nazionale di serie B…

<La Federazione, con la progressiva  diffusione del volley, accanto alla serie A a girone unico istituì una B interregionale alla quale venimmo ammessi. La squadra assunse la denominazione di Alma Juventus Pallavolo, conseguente alla trasformazione della società, fino a quel momento parrocchiale, che si era data una struttura organizzativa per far fronte agli aggravi dei costi. Ci confrontammo con squadre di rilevante livello tecnico, specie in Emilia, regione che, con compagini come FINI e Minelli di Modena, CUS Parma, Nelsen di Reggio Emilia, era, all’epoca, il “tempio” della pallavolo femminile nazionale. Conseguimmo comunque lusinghieri risultati e piazzamenti finali, grazie anche all’apporto di alcune ragazze che erano state inserite, provenienti da Pesaro (Baldassarri, Giorgi, Minzioni), Jesi (Lenti) e Ancona (Ventura). Si giunse così agli inizi degli anni ’70 al “ricambio generazionale”, resosi necessario a seguito dell’abbandono dell’attività agonistica di alcuni elementi che erano stati la forza trainante della squadra come Giommi, Ragnetti, Angeletti e Letizi. Lavorammo intensamente, anche nel periodo estivo e col contributo di giovani che si erano avvicinati alla pallavolo, per creare un vivaio dal quale prelevare ragazze da inserire nella prima squadra>.

Tra questi Gherardo Tecchi, attuale presidente della Federazione Ginnastica d’Italia. Dice che sei stato tu, al Liceo, ad orientarlo verso la pallavolo…

<Questo mi inorgoglisce. Gherardo è un mio carissimo amico, leale, generoso, entusiasta. E’ stato un collaboratore instancabile, sia dal lato organizzativo che, più ancora, in quello tecnico; per tanti anni responsabile e guida del settore giovanile della società, mio aiuto tecnico e prezioso consigliere. Senz’altro, come lui stesso sostiene, la lunga esperienza acquisita negli anni del volley gli è stata di aiuto per giungere al prestigioso incarico di presidente della Federazione Ginnastica d’Italia>.

Torniamo al ricambio generazionale…

<Ci trovammo ad inserire in prima squadra ragazze giovanissime  prive di esperienza. Tememmo di retrocedere, poi la squadra reagì, salvandosi senza patemi. L’anno  seguente disputammo un buon  campionato, anche perché il livello tecnico delle nostre giovani atlete era cresciuto. Tanto che nelle finali nazionali juniores, svoltesi a Forlì, centrammo il bronzo. Fu così che, sull’onda dell’entusiasmo, maturò la decisione di allestire una compagine che puntasse alla promozione alla massima serie. I dirigenti, nella stagione agonistica 1972/73, tesserarono allora la polacca Chmienlinka, olimpionica di Città del Messico, e Vittorina Santunioni, ex nazionale azzurra>.

Si giocava alla Borgo Metauro, primo sponsor Metauro Mobili?

<Esatto. Dominammo il girone ed acquisimmo il diritto di accedere alle finali nazionali con le vincitrici degli altri tre gironi, che mettevano in palio uno dei due posti  a disposizione per la A>.

E siamo alle finali di Ravenna, maggio ’73, davanti a 500 tifosi al seguito, con la partita decisiva contro il Torre Tabita di Catania…

<Nella terza giornata disputammo l’incontro decisivo (lo Scandicci, che aveva vinto tre partite, era già promosso). Una gara di una tensione emotiva indicibile, a lungo in equilibrio, con fasi alterne, conclusasi a nostro favore al quinto set 15-8. Al termine lacrime di gioia e tripudio dei nostri supporters, che occupavano una intera tribuna del palazzetto. Fu una svolta epocale per la pallavolo: per la prima volta una squadra marchigiana approdava alla massima serie. L’amministrazione comunale fece costruire a tempo di record la palestra Trave, a Fano sorsero altre società (la Delfino, la Virtus, la Fulgor e la sezione di pallavolo dell’Adriatica) con un effetto promozionale che, di lì a poco, coinvolse la nostra provincia e la nostra regione>.

Come fu l’atterraggio in A?

<Il primo anno di serie A la squadra venne rafforzata con Camilla Julli e Licia Natali, due nazionali provenienti dalla Fini Modena, e ci classificammo al quarto posto. Nel successivo,  col “tradimento” della Julli e della Natali, passate allo Scandicci, ed il trasferimento  della Chmenlinka alla Pro Patria di Ancona, la società, diretta dal nuovo presidente Rubens Mancini, riuscì a tesserare all’ultimo momento la nazionale Vincenza Forestelli. Una schiacciatrice di una eccezionale potenza esplosiva, senz’altro la più forte dell’epoca. Fu un campionato disputato con tutte le ragazze fanesi, ad eccezione della Grini di Urbania. Vincenza le guidò alla salvezza, favorendo la loro crescita tecnica. La terza, grazie anche alla direttrice sportiva Graziella Francolini, riuscimmo a prendere le nazionali Nicoletta Pezzoni e Susanna Savoldelli, finendo quinti. Avremmo potuto fare meglio, ma le tre nazionali tornarono acciaccate da un lungo collegiale che non mi consenti di utilizzarle per alcune partite. Restano nella mia mente ricordi indelebili: la palestra Trave stracolma di tifosi, stipati sulle tribune fino alle vetrate e a bordo campo, incontri palpitanti – in casa e in trasferta – il sostegno e l’affetto indescrivibile di tutta la città. Poi tanti apprezzamenti per il livello tecnico raggiunto, la mia partecipazione a Coverciano ad un lungo ritiro della Nazionale Azzurra quale aiuto tecnico dell’allenatore Bellagambi, il conferimento da parte della Fipav della qualifica di Allenatore Benemerito>.

Nel 1976, di ritorno dalle Olimpiadi di Montreal, la decisione di lasciare…

<A Montreal avevo seguito tutte le partite di pallavolo, femminile e maschile, ma ero tornato piuttosto stanco e alcune problematiche societarie non mi avevano certo ricaricato. Avevo dedicato alla pallavolo una parte rilevante della mia giovinezza,  con grande passione, trasporto e puro spirito dilettantistico. Pensai che era giunto il momento di dire basta allo stress della panchina, di fare altre scelte di vita, e che potevo continuare ugualmente ad essere utile alla pallavolo. Così ho fatto da allora, per tanti anni, fino ad oggi e con lo stesso entusiasmo, ricoprendo l’incarico dirigenziale di Fiduciario Provinciale Allenatori della Comitato Territoriale della Federazione Pallavolo>.

*foto tratte dal volume “1991 Un anno di sport della Provincia di Pesaro e Urbino”

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