IL DIRIGENTE GIOMBI SCRIVE UN’ACCORATA LETTERA AGLI STUDENTI IN TEMPO DI CORONAVIRUS
In questi giorni di piena emergenza e preoccupazione diffusa, una situazione inedita soprattutto per i più giovani, il dirigente scolastico Samuele Giombi si è sentito di mettere nero su bianco il proprio pensiero e di esternarlo in primis ai propri studenti del Liceo Nolfi Apolloni di Fano attraverso una lettera ad essi rivolta.
Cari studenti, per tutta la comunità scolastica del Nolfi Apolloni questo è senz’altro un anno molto difficile. Prima il rinvio delle lezioni per l’improvvisa inagibilità del Carducci (che abbiamo appreso all’immediata vigilia della data d’inizio delle lezioni stesse) con l’affrettato e faticoso approntamento di sedi per la ricollocazione delle classi. Poi l’epidemia Coronavirus e questa nuova sospensione delle lezioni e di tutte le attività didattiche in presenza, via via prolungata ed oggi estesa fino al 3 aprile. Tutto ciò ha indubbiamente prodotto fatica, difficoltà, disorientamento sotto tanti punti di vista e rappresenta una brusca deviazione dalla quotidianità. Lo rappresenta per tutti e, naturalmente, anche per voi. Ma la scuola, nonostante tutto, non si è fermata. Non si è fermata in quei giorni di settembre (quando abbiamo cercato di proporre attività didattiche alternative fuori dagli spazi scolastici inagibili e siamo riusciti comunque a garantire l’inizio delle lezioni nei tempi ordinari per le classi quinte). Non si sta fermando oggi: i collaboratori scolastici hanno lavorato per igienizzare i locali, il personale amministrativo sta mantenendo la continuità dei servizi di segreteria, i docenti si stanno attivando per offrire modalità di condivisione di attività didattiche “a distanza”. So che anche voi non vi state fermando e vi chiedo qualche minuto del vostro tempo per condividere con voi alcuni pensieri. Da questa situazione così difficile e del tutto inedita potranno “salvarci” lo studio e la conoscenza da una parte, la responsabilità e l’umanità dall’altra parte. In che senso lo dico? Cerco di spiegarmi, con un primo pensiero. I fatti di questi giorni mi hanno spinto a riprendere in mano il Decamerone di Boccaccio ma soprattutto Manzoni: La storia della colonna infame ed i capitoli 31 e 32 dei Promessi sposi, capitoli dedicati all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630. In questi giorni confusi, dentro quelle pagine manzoniane è possibile trovare già tutto: l’emergenza sanitaria, la percezione di pericolosità degli “stranieri”, lo scontro tra le autorità, la ricerca del cosiddetto “paziente zero”, la caccia agli untori, i rimedi più assurdi, l’affanno per accaparrarsi i beni di prima necessità, le voci incontrollate che sembrano contare molto più del parere scientifico degli esperti. Insomma – come è stato già scritto – quelle pagine sembrano appartenere ad un quotidiano di oggi più che ad un romanzo di metà Ottocento. Una differenza però c’è. Perché la “nuova peste” al tempo dei social fa crescere a dismisura soprattutto due di quegli antichi vizi, già emergenti nella peste manzoniana: le voci incontrollate, che si diffondono oggi attraverso le catene di chat con una forza aggressiva ed un carattere irreversibile sconosciuti a Manzoni; l’inclinazione da parte di ciascuno a dire la sua, a dispetto degli esperti, attraverso media così diffusivi e che sembrano autorizzare tutti con il medesimo pressoché irresponsabile diritto di parola. Se ne sono avuti esempi eloquenti nei giorni passati anche nella nostra provincia. Ma allora noi che abbiamo l’opportunità di studiare, conoscere, informarci (un’opportunità che molto meno avevano non dico gli uomini del Seicento ma anche i miei nonni), allora noi facciamolo, voi studenti fatelo! Studiate la storia, le scienze, leggete con spirito critico i numerosi link diffusi, non condividiamo fake news, e seguiamo invece le disposizioni sanitarie. Sono sospese le lezioni ma non è sospeso il vostro essere studenti: “studenti” in questo senso più largo cui ho appena accennato. E contemporaneamente non smettete di essere “studenti” anche nel senso più specifico: dedicate tempo allo studio, ogni giorno, come se foste a scuola, seguendo le proposte che vi vengono date dai docenti a distanza; e se trovate difficoltà per tanti motivi (da quelli tecnici dovuti alle modalità di collegamento a quelli più legati ai contenuti propositivi o alle consegne datevi dai vostri professori) fatelo presente, come sempre, come se foste in aula. Dell’impegno che avrete dimostrato in questi giorni terremo conto, come giusto che sia. Un secondo pensiero ha invece a che fare col nostro essere “persone”, prima che e ancora più che “studenti” (giacché – scusate il “grammatista” che è in me – “persona” è sostantivo, ciò che costituisce sostanza delle cose; mentre “studente” è participio/aggettivo, ciò che alle sostanza delle cose si aggiunge). Ho detto, dunque, che a salvarci sarà, oltre allo studio e alla conoscenza, anche il senso di responsabilità e di umanità, in altre parole la consapevolezza che – con il poeta latino Terenzio- “nulla dell’umanità mi è estraneo”. Ed allora, questo può essere un tempo da valorizzare anche per la cura delle relazioni: con i compagni, soprattutto quelli più fragili o in difficoltà (sfruttando le opportunità positive che la tecnologia dà per comunicare anche a distanza). Ma può essere un tempo per recuperare il meglio delle relazioni anche con i familiari, specialmente ancora i più “deboli” fra essi. Anche i comportamenti corretti che le autorità sanitarie ci chiedono di assumere per evitare la diffusione del contagio ci richiamano al valore del rispetto verso le fasce più deboli, come gli anziani. La vostra giovinezza non è un’età eterna e va vissuta, come tutte le età, nella solidarietà e nella responsabilità. “I care”, diceva don Lorenzo Milani negli anni Quaranta del Novecento: cioè “io mi preoccupo”, “io mi prendo cura”, “io mi faccio responsabile”, di contro al “me ne frego” urlato come slogan violento dai totalitarismi dell’epoca. Fra le relazioni da riscoprire vi sono poi anche quelle che passano attraverso il gruppo classe e che forse talvolta abbiamo banalizzato o rovinato. Ed allora la “sospensione” di questi giorni potrebbe anche farvene riscoprire la potenziale bellezza e importanza. Certo, la didattica digitale e a distanza è una bella risorsa e voi dovete applicarvici oggi con il massimo impegno. Ma non potrà mai sostituire le relazione e l’empatia. Penso, perciò, che qualcuno di voi avrà magari accolto con un “evviva!” la notizia della prima sospensione di pochi giorni. Ma credo che poi, quando la sospensione si è venuta prolungando per tanti giorni, molti avranno sentito e staranno sentendo che starsene a casa non è poi un gran guadagno, avranno sentito e stanno sentendo una certa nostalgia per quella quotidianità, per quelle relazioni, quasi che la mancanza porti ad apprezzare le cose che facciamo ogni giorno, gli incontri, i dialoghi ed anche le difficoltà. Chissà che l’ “assenza” non possa farvi capire anche meglio il valore della “presenza”! E chissà se anche lo stato di incertezza e il funzionamento talvolta problematico dei dispositivi informatici (che magari in questi giorni state sperimentando) non possa farci sentire più uniti, collaborativi e solidali! Vorrei dunque davvero – ma sono sicuro che è già così – che questo tempo non sia vissuto da voi come un tempo vuoto, una vacanza, da trascorrere affollando bar e luoghi di ritrovo, ma piuttosto come un tempo propizio per riscoprire valori del tempo forse trascurati. Mi ha sempre colpito il fatto che la lingua cinese usi il medesimo ideogramma per dire crisi e opportunità e che qualcosa del genere avvenga anche nel Greco antico. A presto, ragazzi!