LORENZETTI, IL VOLLEY AI TEMPI DEL COVID E LA SUA FANO
Lunedì 11 maggio spegnerà 56 candeline, ma questo maledetto Covid-19 gli farà festeggiare un compleanno assai diverso dai precedenti anche se a suo modo indimenticabile. Angelo Lorenzetti lo trascorrerà nella sua casa modenese, dove il plurititolato tecnico fanese della Trentino Volley è rientrato oramai da un mese con la sospensione definitiva della SuperLega. A Modena e Trento, come pure a Piacenza, si sono innamorati di lui a prescindere dall’affetto che si guadagna chi colleziona trionfi sul campo, perché il nostro è una grande persona oltre che un grande allenatore.
Mister, cosa ti manca di più in tempo di pandemia?
<Mi manca gran parte dell’essenza che riempiva il mio quotidiano: la relazione con l’altro. Una componente fondamentale in cui si sostanzia il lavoro che faccio e che amo. Nei primi giorni di quarantena mi è capitato di pensare a quando da piccolo incorrevo in una marachella più… grossa di altre. In quel caso, la punizione che mi veniva affibbiata dai miei genitori era lo stare a casa. Vale a dire che, per farmi “scontare” una pena che avesse pari entità del danno provocato, mi si toglieva un qualcosa di valore elevato. In questa fase di emergenza si cerca di far squadra privandoci di un qualcosa di essenziale per le nostre intime umanità: la relazione. Questa mancanza può essere solo parzialmente alleviata dalle moderne forme di “collegamento sociale”. Quello che perdiamo in questo periodo non lo ritroveremo fuori della porta di casa, quando ci sarà consentito di uscire. Sarà opportuno porre tanta cura per recuperarlo>.
Lo stravolgimento delle abitudini, vedi rifugiarti in spiaggia nella tua amata Fano in estate, che effetto ti fa?
<Onestamente a me non infastidisce lo stravolgimento delle abitudini. Le abitudini chiudono porte durante le emergenze e durante la normalità. A me ha creato e crea tanto disagio l’evidente spostamento nel cestino, da parte di politica e opinione pubblica, dello sport. Infastidito soprattutto dal fatto che lo sport – anche la corsetta in montagna – che di salute se ne intende, in questa emergenza sanitaria sia stato messo ai margini. Infastidito dalle modalità con le quali la pallavolo ha scelto l’oblio. Infastidito dal fatto che un allenatore, senza la palla, non sia considerato nemmeno dal suo mondo risorsa da utilizzare>.
Intanto qual è la tua quotidianità?
<La mia quotidianità è orientata ad utilizzare il tempo nel modo più efficace possibile, sia per quel che riguarda la sfera professionale che per quella personale. L’utilizzo del tempo, una risorsa che in condizioni pre-Covid sembrava essere sempre scarsa, è, secondo il mio punto di vista, una delle sfide di questo periodo di isolamento casalingo>.
Secondo uno studio condotto dal Politecnico di Torino la pallavolo risulta inaspettatamente lo sport a più alto rischio contagio, che ne pensi?
<L’impressione che nasce dal confronto dell’indice di pericolosità fra vari sport è che lo studio non sia completo, o, ancora meglio, concluso in termini di valutazione dei dati. Troppe cose sono difficili da capire e da spiegare. Spero che ci sia una rivisitazione dei dati raccolti e delle output. Tutto qui. A me stupisce, invece, il silenzio della governance del volley. Dietro questo silenzio si annidano domande che non conducono a risposte in linea con la fiducia che, in questo frangente di emergenza per il movimento, è meglio non sgretolare>.
In questo periodo sui social affiorano i ricordi, quali sono quelli più belli dei tuoi esordi fanesi?
<Ricordi? Il primo palleggio senza rumore. La prima partita al campo del Duomo contro la Juventina. La medaglia d’oro ai Giochi della Gioventù a Bari. Il primo scudetto fanese con la Delfino a Città di Castello. La vittoria della Coppa Italia di A2. E… tanti altri, ma ci vorrebbe un libro per scriverli tutti!>.
Come vedi questo nuovo corso Virtus coi giovani prodotti del vivaio protagonisti in prima squadra negli ultimi tre anni?
<Da lontano c’è innanzitutto l’orgoglio fanese. La fiammella del volley non si è mai spenta e ora sembra che il vento buono per alimentare il fuoco stia tirando. Rischi? L’autoreferenzialità e smarrire il “perché” si fa pallavolo a Fano. Non sono rischi specifici della realtà fanese, ma di tutte quelle società che provano ad alzare l’asticella>.
Dopo tre scudetti, un mondiale per club, una CEV e tanti altri trofei, che traguardo insegui?
<Inseguo la quotidianità della palestra. Fatta di passione e condivisione del bello e del brutto. L’ho vissuta spesso, direi quasi sempre. So che è un valore grande e non scontato e pertanto la inseguo e la inseguirò oggi ad ogni battito di volley>.